In un post di qualche anno fa, Tobias van Schneider scriveva: «If you hate everything you’ve ever made, congrats. You’re a designer».
Era un post per giovani aspiranti designer. Van Schneider provava a dare un’immagine onesta e realistica del lavoro di designer, fatta spesso di insoddisfazione e autocritica feroce. Quella frase mi è venuta in mente qualche giorno fa leggendo l’articolo di Elizabeth Goodspeed sul perché i grafici non riescono a smettere di scherzare sul fatto che odiano il loro lavoro.
Elizabeth Goodspeed dice che l’ironia serve spesso a proteggersi dal disincanto: «Quando la posta in gioco è così personale, l’indifferenza finta può sembrare l’unica risposta sicura».
L’ironia come autodifesa, dovuto al distacco tra aspettative e realtà. Un distacco che probabilmente nasce durante gli anni di formazione, durante i quali gli studenti, futuri designer, sono incoraggiati a sperimentare e si confrontano, studiandoli, i lavori di leggende del design del passato. Nessuno gli dice quanto il design contemporaneo sia vincolato da performance, strumenti e linee guida. E quanto in realtà il design non sia sempre al centro di tutto.