May 2, 2025, 9:49 p.m.

001 – Fotografare gli schermi

Dispenser.Design

Tempo fa, quando usavo con più costanza i social (soprattutto il fu Twitter) mi divertivo a scrivere titoli improbabili (o quasi) per possibili saggi. Il format era: Saggi che meriterebbero di essere scritti: [Titolo improbabile (o quasi)]. Condivido sotto alcuni di questi titoli:

  • Scusa se ti rispondo in ritardo
  • Sopravvivere alla scomparsa di un file
  • Dimenticare le password
  • Attendere un upload
  • Il magico potere di “ordina per data di modifica”
  • Fotografare gli schermi
  • Poco fa era online
  • Intanto facciamo così, poi lo sistemiamo
  • Lo sistemiamo dopo, con calma (il seguito di quello di prima)

Tempo fa avevo anche provato a dare seguito a quei titoli. Vi riporto sotto appunti e note di un possibile breve articolo sul “fotografare gli schermi”.


Quando ho provato a scrivere l’articolo, ho sperimentato diversi incipit. In uno citavo il fatto che CleanShot X è uno dei primi software che installo ogni volta che cambio Mac. In un altro raccontavo un episodio personale:

Qualche giorno fa ho avuto un problema con il mio sito web e ho scritto un messaggio per chiedere aiuto. La prima risposta è stata: “Ok, mandami uno screenshot”.

Buona parte del mio lavoro lo svolgo davanti a uno schermo, come succede anche a voi, immagino. Occupandomi di progettazione di interfacce digitali (per web o app), mi ritrovo di continuo a fotografare gli schermi per varie esigenze: ispirazione, revisione, analisi, segnalazioni.

Quando ho scritto quel tweet usando la parola “fotografare”, non sapevo che la prima fotografia di uno schermo fosse stata una vera fotografia.

Prima che i sistemi operativi integrassero la funzione di “cattura schermo”, per riprendere una schermata si scattavano fotografie. Lo faceva IBM, con i suoi primi computer, per documentare l’output di un certo software. Secondo alcune ricostruzioni, il primo screenshot potrebbe essere avvenuto nel 1956, con l’immagine di una pin‑up1.

Il primo screenshot di un monitor


Provando a documentarmi sugli screenshot ho individuato alcuni aspetti che potrei esplorare, dovessi mai poi scrivere un articolo: documentazione, memoria e nostalgia, archiviazione, condivisione.

Mi sono salvato l’articolo di Francesco Ciaponi su Artribune:

Lo screenshot è un modo per (di)mostrare agli altri ciò che si sta facendo o vedendo, una forma di archiviazione o più banalmente una sorta di bloc notes con cui fissare – come nel mio caso – notizie relative a orari e appuntamenti. Lo usiamo per mettere al sicuro biglietti di viaggio da mostrare, mappe e indicazioni stradali, o, ancora, per mostrare al supporto tecnico del caso gli odiosi messaggi di errore o i problemi software.2

Gli screenshot funzionano come agenti di memoria. Riguardando vecchi screenshot, la memoria torna a quel momento, con anche un senso di nostalgia. Un po’ come per le fotografie. Appunto mentale: dovrei rileggere Sulla fotografia di Susan Sontag.

Un altro articolo che ho salvato è Screen Memories di Kelly Pendergrast per la rivista Real Life (peccato che abbia chiuso qualche anno fa). Pendergrast parla di screenshot come di un documentario:

[…] Ogni screenshot è un documentario. Un documentario su ciò che ho trovato divertente o degno di condivisione in quel momento, un resoconto di come internet o un’app apparivano al secondo dello scatto, e un documento di tipo di file, metadati e convenzioni di nomenclatura3.

Dell’articolo di Pendergrast ho trovato interessante la definizione di “social photograph” che Nathan Jurgenson sviluppa nel suo libro The Social Photo: On Photography and Social Media. Le fotografie sociali sono «immagini quotidiane scattate per essere condivise», «la loro esistenza come oggetto mediatico a sé stante è subordinata alla loro esistenza come unità di comunicazione». Un po’ come gli screenshot.


  1. Benj Edwards, The Never-Before-Told Story of the World's First Computer Art (It's a Sexy Dame), The Atlantic ↩

  2. Francesco Ciaponi, Benvenuti nell’era della “screenshot culture”, Artribune ↩

  3. Kelly Pendergrast, Screen Memories, Real Life ↩

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