Antimateria
Tutto quello che facciamo è fatto di tangibile e intangibile.
Nella precedente newsletter ho preso in prestito la metafora del secchio per sottolineare come qualsiasi spiegazione sia un riduzione del sapere e occorra essere consapevoli anche di tutto quello che “lasciamo fuori” quando spieghiamo qualcosa.
La vita non è fatta solo di spiegazione, di dire qualcosa, ma anche di fare qualcosa.
La riflessione di oggi è ispirata da una lezione sullo strategic design di Dan Hill, nella quale si sottolinea il rapporto tra la materia —ovvero tutto quello che facciamo che è visibile e tangibile— e l’antimateria — tutto quello che è invisibile, ma necessario.
Nel caso di Dan Hill si parla di costruire edifici, riqualificare quartieri o progettare un servizio come la distribuzione di street food.
Per ciascuno di questi casi c’è la materia —l’edificio costruito in questo o quel materiale, il quartiere migliorato, un servizio di street food accessibile e legale— e l’antimateria —i cambiamenti ai regolamenti sull’utilizzo di materiale, suolo pubblico e permessi necessari.
Penso che un errore che si faccia spesso sia pensare a quello che facciamo come pure materia, anche quando maneggiamo l’impalpabile tipico della economia della conoscenza.
Intendiamoci, succede che ci concentriamo principalmente sulla materia di quello che facciamo perché è anche la parte più visibile e per la quale possiamo egoisticamente prenderci dei meriti.
A nessuno piace trovarsi da solo a spiegare, con il ditino alzato, che “…veramente ci sarebbe anche questo, e questo, e quest’altro” riguardo a qualcosa che abbiamo fatto.
Domande utili da porsi: quanta antimateria c’è in quello che faccio? Quante volte ho sbuffato pensando “non è il mio lavoro” ma avrei semplicemente dovuto dire “ah, questa è antimateria!”. Qual è la giusta proporzione tra materia e antimateria?
Qual è la parte di quello che facciamo per cui vorremmo prenderci dei meriti, ma che risulta oscura e insondabile agli altri?