480 chilometri dopo
Perché, dopotutto, pedalare è la cosa più simile al volare che puoi fare con le tue forze.
Quando penso a com’ero da bambino mi viene da commentare: “Non particolarmente dotato”. Avevo un po’ paura di tutto. Ci ho messo un po’ ad imparare ad andare in bici. Avevo paura di cadere, e quindi cadevo e non era facile rimettermi in bici dopo una caduta.
Da bambino, comunque, andavo in bici dappertutto. A scuola, ad allenamento, a fare commissioni per mia madre.
Poi, come tanti, ho smesso di andare in bici. Mi sono motorizzato, ho iniziato ad usare i mezzi pubblici.
Mi sono trasferito a Milano, dove il pensiero di viaggiare in bici mi ha sempre terrorizzato.
Due anni fa ho preso una bici scassona per superare di nuovo, a più di 30 anni di distanza, una paura legata alla bicicletta. Ho cominciato timidamente a girare saltuariamente per questa città fatta di e per automobili.
Lo scorso autunno, un po’ per aver preso coraggio, un po’ per infondere ulteriore coraggio, ho preso una bici nuova, un po’ più carina. La realizzazione principale era che, nonostante il traffico, e la tensione della costante attenzione di pedalare nel traffico, andare in bicicletta mi rende felice.
Non è quella felicità assoluta e spensierata che alcuni attribuiscono all’andare in bici, per me è la felicità indiretta generata dal dover pensare a pedalare e non dover pensare a tutto il resto, soprattutto in quest’anno in cui “tutto il resto” non porta pensieri particolarmente felici.
Fino a quest’anno non avevo mai fatto tragitti più lunghi di 20 chilometri, i miei spostamenti ridotti sempre all’essenziale a al funzionale, non tanto al diletto.
All’inizio di quest’anno ho fatto qualche saltuaria escursione di 90, 70 e 60 chilometri.
Siccome non sono una persona con un buon rapporto con le mezze misure, la scorsa settimana l’ho passata in viaggio in bici lungo la costa atlantica francese, da Nantes a Bordeaux, per un totale di 480 chilometri.
Ora, la disamina tappa per tappa, chilometro per chilometro, città per città credo non interessi a nessuno, ho giusto qualche osservazione.
Limiti
Sono una persona sana e allenata, più allenata della media, tuttavia non avevo mai fatto niente del genere e davo per scontato che in qualche modo avrei raggiunto dei limiti.
Il limite si è manifestato alla quarta tappa, il quarto giorno consecutivo: 120 chilometri totali che sono filati tutto sommato lisci fino a metà, ma poi si sono trasformati in un inferno di disidratazione causa impennata delle temperature (+8 gradi rispetto i giorni precedenti) e vento forte, spesso contrario.
Un crash glicemico ed elettrolitico, la sensazione di aver finito tutti i liquidi corporei, di essere essicato, mi ha obbligato a fermarmi al chilometro 90 dei 120, e ha resto molto, molto spiacevoli i seguenti 30 chilometri.
In tutto questo, nonostante stia descrivendo un limite apparentemente fisico, la realtà è che il limite era mentale: era il mio cervello che suonava il campanello di allarme per la situazione inedita, in ampio anticipo rispetto ad un esaurimento fisico completo che non ho mai effettivamente raggiunto.
Anche in una tappa precedente ho notato come sia proprio il cervello a perdere colpi ben prima rispetto al fisico. L’esatto opposto rispetto al detto “Lo spirito è forte ma la carne è debole”.
Sono poi seguiti due giorni di riposo, e una tappa —da 130 chilometri— saltata, che ho fatto in treno.
Siccome ripartirei domani, ma con alcuni accorgimenti, questi sono quelli che ho pensato:
Spostarsi ancora più a Nord. In Inghilterra, Scozia o Scandinavia. Sono una persona che soffre il caldo, si surriscalda molto facilmente e suda molto, e anche il mite range medio 22-17 gradi trovato in Francia non mi è sembrato basso abbastanza. Questo ha influito anche sulla qualità -generalmente pessima- del mio sonno che sicuramente non mi ha messo nelle migliori condizioni.
Forse non c’è molta ragione di puntare a fare tappe più lunghe di 100 chilometri, nel senso che condizioni del fondo stradale e condizioni meteorologiche condizionano tantissimo la resa. Meglio puntare ad una distanza massima “intermedia” di 70/80 chilometri che permetta di assorbire anche giornate “storte” a causa di fattori esterni. Se in condizioni ottimali potrei forse fare anche 150 chilometri al giorno, so che le condizioni ottimali non ci saranno mai.
Non fare mai più di tre giornate consecutive senza pausa. Anche qui, forse è meglio fare una vacanza un po’ più lunga o con un tragitto totale più breve che rischiare gli effetti indesiderati dell’accumulo di fatica o di una tappa particolarmente complessa come è stata la mia quarta tappa (che poi ha richiesto due giorni di riposo per essere “riassorbita”)
Lasciare l’agonismo alle spalle. Questa è una cosa molto difficile per me che sono abituato allo sport di squadra o comunque fare allenamenti molto disciplinati nei tempi e nell’esecuzione. Mi sono sentito in dovere di finire le tappe nel minore tempo possibile, e non c’era (quasi, vedi punto seguente) nessuna ragione per avere questo approccio.
Le modalità di alloggio cambiano drasticamente il modo di viaggiare. Ho escluso il dormire in tenda perché ho dato per scontato che non sarei riuscito a dormire in tenda, non è una cosa a cui sono abituato. Questo ha implicato che in molti posti dovessi arrivare prima delle 20, escludendo la possibilità di pedalare più a lungo (a quelle latitudini in questa stagione si vede fino alle 22 circa). Gli innumerevoli camping che si trovano lungo la costa avrebbero permesso estrema flessibilità e quindi ritmi di viaggio più tranquilli.
Preferenze
A dispetto del mio fisico pesante, non proprio da ciclista, sicuramente non da “arrampicatore”, non mi dispiacciono le salite, non mi dispiacciono le curve, non mi dispiace la varietà del percorso.
Mi sono divertito molto dentro le pinete (bonus point: nelle pinete c’è l’ombra). Mi sono annoiato a morte nei lunghi tratti rettilinei e pianeggianti, che dilatano la percezione del tempo a dismisura.
Non è un caso che l’unica caduta non sia stata in un tratto particolarmente impegnativo, o nel traffico, ma proprio in un pezzo rettilineo dove sono caduto per distrazione causata dalla noia.
Ah: mai più senza abbigliamento in lana merino.
Compensazioni
La mia bici è evidentemente una bici da città, non da ciclo-turismo. Nonostante i percorsi fatti fossero affrontabili anche con una bici tutto sommato normale, il mio corpo ha compensato rispetto a leggerezza, mancanza di stabilità e punti di appoggio non ottimali per mani e sedere.
Per la prossima volta: un bel manubrio a farfalla e una sella di qualità – o una vera bici da ciclo-turismo, anche solo in prestito o a noleggio.
E un bel paio di occhiali da sole seri, con lenti polarizzate, perché ad un certo punto mi facevano male pure le palpebre.
Archetipi
Tanti i ciclisti di ogni forma e colore incontrati, riconducibili però ad alcuni personaggi chiave.
Innanzitutto tu, ciclo-turista con le borse che macina un centinaio di chilometri al giorno, sarai il più lento di tutti. Sarai più lento dei ciclisti con bici da strada super-leggere e con rapporti da velocità, sarai più lento dei pensionati con la bici elettrica. Non prenderla sul personale.
Le tante famiglie presenti mi hanno permesso di osservare un pattern legato a come i diversi membri del nucleo famigliare si presentano.
Un grande classico era:
Il papà con bici, abbigliamento e accessori costosissimi, agghindato come se dovesse fare il Tour De France
La mamma con tutto l’abbigliamento rosa e fluorescente e la bicicletta dal colore più improbabile che è riuscita a trovare al Decathlon
I figli adolescenti o pre-adolescenti con abbigliamento e ritmo di pedalata della serie “vorrei essere ovunque tranne qui”
Tanto tempo fa Steve Jobs descrisse i computer come biciclette per la mente.
Nello specifico faceva riferimento ad uno studio che comparava l’efficienza di spostamento in termini di dispendio energetico in rapporto al peso corporeo di animali, veicoli a motore ed esseri umani.
Questo significa che un essere umano su una bici riesce a spostarsi più a lungo e con meno sforzo rispetto a qualsiasi altro animale o veicolo. Un essere umano in bicicletta, anche senza allenamento, può battere qualsiasi ultra-maratoneta professionista.
Ma la bicicletta non amplifica solo la nostra capacità di movimento. Amplifica la nostra capacità di osservazione, e la nostra capacità di ricordare dove siamo stati e quando.
Viaggiare in bici è quella via di mezzo tra un lento ed estenuante cammino e un veloce, anonimo viaggio in auto, in treno o in aereo. Ti permette di vedere tanto, in relativamente poco tempo e di ricordarti più dettagli e più a lungo. I posti in cui torneresti e perché, e i posti in cui non torneresti.
Tutto questo si perde quando la nostra modalità di viaggio è una sorta di black box, di cui conosciamo a malapena solo il punto di arrivo e il punto di partenza.
Ma anche: tutto quello che ti serve può stare tranquillamente su una bici, e questo mi ha portato, nuovamente, a pensare quanto “troppo”, di tutto, ci portiamo nelle nostre vite quando ci basterebbe molto meno, andando a prestito di tutto il resto.
Viaggiare in bici è allo stesso tempo un esercizio di minimalismo materiale e massimalismo esperienziale.