sistemare i segnalibri #7
Olà olà, sono Gualtiero Bertoldi, e dopo una settimana ballerina è tempo di tornare a sistemare i segnalibri in maniera acconcia. Andiamo.
sistemare i segnalibri
Le catacombe di Parigi - Nadar, uno fra i primi grandi fotografi della storia, prende tutto il proprio armamentario e scende nelle viscere di Parigi per tentare la quasi impossibile impresa di estrarre dal buio più totale una testimonianza dal sottosuolo.
I disegni giovanili di Eisenstein - un taccuino con diversi disegni risalenti al 1914.
Sindrome dell’impostore - benvenuti nel mio mondo mentale (è una roba suppergiù speculare all’effetto Dunning-Kruger).
Don Markstein’s Toonopedia - creato nel 2001 e aggiornato fino al 2011 (anno della morte dell’autore), questo sito resta a testimonianza dei primi tentativi di coniugare la fan culture con gli allora quasi nuovi strumenti della rete. Il risultato: un’accozzaglia di link apparentemente indigeribile, ma dietro alla quale si celano, però, pagine e pagine di analisi, aneddoti e ricostruzioni storiche affabilmente discorsive.
Lo sbarello di Billy Corgan - ovvero di come già nel 2014 il caro Billy fosse già anni luce avanti nelle pieghe mentali della propria stramberia (meglio di lui forse solo Giovanni Lindo Ferretti) (qua l’altrettanto interessante cronaca di lui che improvvisa per otto ore al synth).
Una gondola a Las Vegas - dove c’è un hotel che propone l’esperienza veneziana. Sì, a Las Vegas.
Una lista di citazioni sbagliate - attribuite erroneamente, storpiate, inventate. Qua quella inglese.
Dragonball - un po’ di gif, alcune anche trasparenti (nelle altre di cronaca: angelfire è ancora vivo e attivo).
Tutti i giochi (gratis, o quasi) di Lucas Pope - l’autore di Papers, Please e del più recente e altrettanto bello Return of the Obra Dinn.
Vintage ads - pubblicità di una volta (nelle altre di cronaca: livejournal è ancora vivo e attivo, ma è diventato russo (dal 2007; dal 2016 anche i server sono stati tutti spostati in Russia)).
The tourist map of literature - metti il nome di un/a letterato/a, ottieni una mappa di (a volte) decine di altri/e letterati/e in vario modo collegati all’originale, dai fondo al conto corrente, sciacqua e ripeti (oppure tutti su Library Genesis, o IRC).
Non hanno funzionato
- http://www.kier-cs.com/2009/03/masterpieces-of-medical-photography.html
- http://projects.japanzai.com/
- http://www.gooncity.com/
- https://lacienciadelpanico.tk/
questa volta: gif che mancavano
L’incredibile entusiamo di Laura Boldrini.

Se non avete ancora visto Chernobyl, guardatelo.

L’assoluto stato del Montesi.

Quando un conte urla, fai come Daniela Ferolla.

Cos’era la prima stagione di Mr Robot.

Era una brava persona, salutava sempre.

il pezzo: Dall’oggetto al gesto [medio-lungo]
[dato che è scomparso da internet, ripubblico qui un articolo scritto a metà del 2011 per una rivista il cui titolo non vale la pena di ricordare]
A inizio del 2011 veniva pubblicata sul sito di Pixable (un’applicazione web per aggregare e gestire le fotografie caricate presso le più disparate piattaforme di condivisione fotografica), una infografica che avrebbe fatto poi il giro della rete e innescato interminabili discussioni a riguardo della fotografia al tempo di internet. Secondo i dati presentati dal sito, risultava come su Facebook venissero pubblicate circa 6 miliardi di fotografie al mese, per un totale che si sarebbe aggirato all’incirca attorno ai 100 miliardi di fotografie verso la metà del 2011. Se a questo dato si fossero aggiunti quelli riguardanti gli scatti caricati su Flickr, Picasa e Photobucket (solo per citare i servizi di condivisione fotografica più noti e utilizzati), si stimava come ogni giorno venissero immesse nella rete 200 milioni di fotografie, per un totale di 375 miliardi di foto rese pubbliche fra il 2010 e il 2011 - cifra che all’epoca, sei mesi fa, rappresentava il 10% di tutto il patrimonio fotografico mondiale esistente.
Gli album personali o di famiglia, una volta considerati dei preziosi oggetti contenenti un limitato numero di cari ricordi da mostrare con orgoglio all’ospite di turno, sono oggi stati sostituiti dagli album su Facebook, cartelle adibite a una condivisione allargata del proprio passato prossimo dove delocalizzare al più presto la memoria personale. L’album da privato è diventato pubblico, disperso in una sterminata distesa di altre fotografie che, come nel peggior incubo di ogni semiologo, si annullano le une con le altre in forza delle propria smisurata quantità, fino a polverizzarsi in un indistinto rumore di fondo. La stessa tecnica che ha imposto una concezione della fotografia come quella di un fedele specchio dotato di memoria ne ha oggi dissipato la capacità di ergersi a immagine ufficiale di un determinato momento, di una determinata situazione, riducendola a un insieme di dati che si possono visualizzare, modificare, condividere, cancellare e rimpiazzare all’istante già in camera, e successivamente riversare in pubblico senza riguardare (e senza che quasi nessun altro sia interessato a guardare). Se però non è più la foto a trattenere, a catturare l’incanto del momento, è la performance fotografica, l’atto del fotografare stesso (dichiarato e richiesto in continuazione - “Dai, fai una foto!”, “Aspetta che questa la devo fotografare”, “Facciamoci delle foto mentre…”) ad avere assunto l’importanza, l’aura?, che una volta era della foto.
La foto, il più antico dei contemporanei manufatti digitali, si è trasformata da oggetto infinitamente riproducibile a fluido infinitamente producibile, nel quale ogni singolo momento può essere sbadatamente ripreso e filtrato all’istante da diverse memorie culturalmente istituzionalizzate (basti pensare ai filtri Instagram che permettono di rievocare, tramite una semplice gestione automatizzata dei colori, svariate tecniche e materiali fotografici del 900, e con essi i gusti e le sensazioni che sono oggi attribuiti alle epoche in cui quelle tecniche erano in uso). Mentre per Cartier-Bresson la fotografia era la capacità di “trattenere il respiro quando le nostre capacità convergono per captare la realtà fugace”, andando quindi a estrarre dal reale un qualcosa che senza la fotografia si perderebbe irrimediabilmente, oggi la funzione di traccia identificativa di luoghi, momenti e persone che la fotografia ha rivestito fin dai suoi albori si è dissolta nel numero e nella quantità dei momenti captati e riversati alla pubblica vista. È invece la pura performance, l’atto fotografico in sè scevro da ogni attenzione e concentrazione, a essere diventata la funzione principale della fotografia, tanto che si potrebbe arrivare a pensare come la maggior parte della fotografia digitale contemporanea, e dei suoi modi di condivisione, comporti una re-individualizzazione della memoria visiva da parte dei soggetti fotografati e fotografanti, i quali, grazie a una estremizzazione sociale e tecnologica del mezzo, fanno a meno dell’immagine effettivamente catturata e imprimono il momento nella propria memoria tramite il nudo agire fotografico.
Ok? Ok. Ok ok ok. O-K. Mancano solo i:
numeri
1 - 2 - 99 - 0