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August 27, 2020

sistemare i segnalibri #44

Bum-pa! Sono Gualtiero Bertoldi, sono fresco negativo al test sierologico del Covid-19, non ce la faccio più con ‘sto caldo (il sollievo, da studentello delle superiori, quando Dante arriva al Cocito, e scoprire che il posto peggiore dell’inferno è ghiacciato, e allora che sarà mai), e tanto per farvi gradire sia un paio di mazzi miei, sia quanto l’esistenza possa essere un sincretico turbinio serendipitoso, qualche anno fa scoprii di soffrire di prostatite - wait for it - ASINTOMATICA. Tutto a posto, ora? Tutto curato, e ora i segnalibri della settimana a seguire.


sistemare i segnalibri

  1. Visitors at the Venice Biennale - la più classica delle hipsterate: fotografare i visitatori di una mostra d’arte.

  2. In gommone verso la Tunisia - vi ricordate di quella volta in cui i leghisti dimostrarono di non saper neppure fare gli immigrati?

  3. Spotify vs Bandcamp - due possibili immagini del futuro (e il bello è che sono già qui).

  4. ASMR - tutti ne parlano facendo finta che. E invece sappiamo tutti benissimo che.

  5. English pronunciation - and this is why we say no thank you to English.

  6. Cambridge University Press - un centinaio di pubblicazioni open access (fate attenzione che alcune saranno disponibili solo dal prossimo mese). Così, giusto per. E se vi sale l’imbarazzo della scelta, partite da Stand out of our light di James Williams.

  7. Mattis Dovier - giffettone a effettone.

  8. The museum of endangered sounds - oh oh.

  9. Daidai wa, Hantoumei ni Nidonesuru - un manga di Abe Youichi.

  10. Clock DVA - se nel 1981 non stavate ascoltando EBM electro-industrial cyber early industrial post punk, io allora boh, proprio non so.

  11. Evangelion calculator cover - cover medievaleggianti di canzoni pop? Pff, roba vecchia. Il futuro è Chaco (altrimenti vi potete sempre accontentare di un covereggiante Rick Astley (e no, stranamente non è un rickrolling - o forse sì, non si capisce più)).

Non hanno funzionato

  • http://ilikr.net/


questa volta: gif che mancavano

(e poi c’è una gif di Pavarotti che però substack non sembra essere in grado di gestire, quindi eccovela in un link esterno: PAVAROTTO)


il pezzo: You belong to me [medio-breve]

Epic contro Apple. Non mi interessa tanto la battaglia in sè (certo, è una battaglia grossa, il cui risultato avrà effetti a lungo termine sul come usiamo i soldi su internet), quanto il secondo passo compiuto da Epic (il primo essendo il tentativo di aggirare il 30% dovuto ad Apple), con l’oramai famigerato spoof della classica pubblicità del Macintosh 1984.

Che sì, è una roba ironica, ma la cui ironia mi pare più profonda e sottile della semplice presa in giro, del “così come Apple un giorno si mise contro la IBM, oggi noi di Epic ci mettiamo contro la Apple”. A ben vedere, infatti, Epic non vuole porsi come alternativa ad Apple, ma spera, anzi, si propone di diventarne il sostituto (e, ugualmente, spera di sostituire Steam su pc), e il riutilizzo dello spot può essere meglio letto con un “così come voi avete preso a martellate monopoli precedenti, diventandone a vostra volta uno, adesso è tempo per noi di fare lo stesso con voi”. È interessante anche fare un confronto diretto fra l’originale e lo spoof: se nel primo (diretto da Ridley Scott) il montaggio è nervoso, le carrellate frequenti, l’atleta in affanno (per diversi attimi si può anche credere che non ce la farà a lanciare il martello, che crollerà, o sarà acciuffata prima), nel filmato della Epic tutto scorre molto più liscio e levigato, e il personaggio ghignante che lancia l’hobby unicorn sa ciò che sta facendo, non ha nessun dubbio, nessun timore che lo schermo non esploda, o lei non riesca a compiere l’impresa (tant’è vero che nell’originale, dopo l’esplosione, la camera si sofferma sullo shock degli astanti, partecipi di un evento sconvolgente che ha messo in crisi lo status quo, mentre nello spoof vediamo il personaggio principale che tranquillamente se ne cammina via a guardie ferme, con la folla che un po’ si gira a guardarlo e un po’ non sa che fare, testimone più di uno scherzo pesante che non di un atto rivoluzionario). Come dire: l’originale è sudato e sovreccitato, lo spoof trasuda ammiccante sicurezza.

[che poi, oh, non ho mai acquistato un prodotto Apple, e il modo in cui Epic ha fatto i soldi mi pare una bel raggiro. Non mi piacciono i prodotti e l’ecosistema Apple per lo stesso motivo per cui non mi sono mai piaciute (e non ne ho mai comprate) le console: architetture sigillate, ecosistemi hardware e software chiusi, che si lasciano usare bene e facilmente in cambio di una totale arresa dell’utente a ciò che gli viene messo fra le mani - e tutto questo ha a che fare incidentalmente anche con un discorso indicato nella scorsa newsletter, su ciò che abbiamo perso dell’internet degli albori: da luogo in cui finalmente trovare dei propri affini, e quindi ritrovarsi non più soli e unici e sfigati, esplorando e sfruttando una miriade di strumenti aperti e modificabili; a vetrina nella quale esibirsi muscolarmente nella speranza di ricavare qualche dollaro, facendo leva su piattaforme che in cambio di dati preziosi ma per noi scontati e quasi invisibili, ci impongono infrastrutture rigide e ineluttabili.

E per quanto riguarda Epic, fra tutti i battle royale possibili, proprio quello più stupido e lineare (mi verrebbe anzi da scrivere “cellulare”) è diventato la pietra miliare del genere, addirittura iniziando a prefigurarsi come uno dei primi metaversi possibili della storia (lo ammetto, sono un “more like Fartnite am I right” kind of guy, con una lunga storia d’amore - oramai conclusa - per PUBG). Un gioco nel quale non c’è strategia né precisione, ma una serie di movimenti preordinati da compiere una volta che si incontra un altro giocatore (sparare, crafting di base, sparare - e via a ripetere il ciclo); una vetrina in cui sfoggiare danze e skins esclusive, e solo incidentalmente gareggiare con o contro gli altri]


Fine fine. Fiiine. Non prima dell’ultima fatica di Seth Everman (che considero non ironicamente uno dei più grandi artisti viventi):

e dei soliti:

numeri

1 - 2 - 99 - 1

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