sistemare i segnalibri #10
Badabing badabang, sono Gualtiero Bertoldi, sono raffreddato, sono moccioloso, sono pieno di segnalibri da sistemare - e quindi non indugiamo oltre.
sistemare i segnalibri
Just act natural - il video più strano che vedrete oggi.
Nozionario di glottodidattica - no, ma insegnare le lingue è facile, che vuoi che sia (btw, I’m a “lessicale, approccio” kind of teacher).
Printable paper - prima di un compito gli studenti mi chiedono di solito che tipo di foglio preferisco usino, e quando io rispondo: “Quello che più vi aggrada: a righe, a quadretti, a esagoni”, tutti si mettono a ridacchiare, e io non capisco perché.
Snowblood apple - se vi interessano i film giapponesi strani, ma non avete idea da che parte iniziare, qua trovate un buon elenco con recensioni e screencaps varie.
Rospi esplosivi - il più grande mistero del 2005 (risolto nel giro di una settimana).
Entropia - in tutte le sue declinazioni, rigorosamente in stile web 1.0.
Trasparenza e photoshop - uno dei vari trucchi del mestiere quando si traffica con le gif.
A slower speed of light - quando il MIT si mette a far videogiochi (qua tutti gli altri).
Mathway - il google translate della matematica (per cambiare branca, cliccare sul menu in alto a sinistra).
Ugly Renaissance Babies - e altri soggetti con cui i pittori rinascimentali avevano un po’ di problemi.
uuuuu - ovviamente splinder non c’è più, e allora facciamoci dare una mano dalla wayback machine per onorare la memoria di uno dei più bei blog mai apparsi su quella piattaforma.

Non hanno funzionato
- https://www.tate.org.uk/modern/exhibitions/markrothko/panorama/default.shtm
-
https://aciribiceci.com/2012/05/17/per-una-critica-di-chi-critica/
questa volta: tutti i fumetti del mondo
Tutti a dare addosso alla fascistizzazione senza fine di Frank Miller, e nessuno che si renda conto di come sia semplicemente diventato un buffone (anche se è più o meno la stessa cosa) (la tavola è tratta da quella fanghiglia indistinta che è Holy Terror).

Recuperiamo un po’ di eleganza con Jar of Fools di Jason Lutes.




Enigma, di Peter Milligan e Duncan Fegredo.


Prison Pit, di Johnny Ryan (che finisce in maniera un po’ meh).

Mother come home, di Paul Hornschemeier.

il pezzo: non ti riconosco più [lungo]
[c’era una rivista, edita a Parma, La Luna di Traverso, che ora edita non lo è più (o almeno così mi pare), sulla quale pubblicai, prima e ultima volta, un racconto, nel 2004] [questo è quel racconto]
Passi tutta la vita a domandarti del dolore degli altri e a pettinarti i capelli - lavare i piatti, tirare distrattamente lo sciacquone, ridere come forma di cortesia, fischiettare delle melodie sentite in giro. Quando entri in un bar trovi sempre una signora che ti tiene la porta aperta mentre passi e basta un sorriso per ottenere uno sconto, o addirittura un piccolo regalo. L’essenziale è non approfondire mai: cordialità senza coinvolgimento, solidarietà senza concessioni e confessioni reciproche. La dovuta distanza e una veloce strizzata d’occhio. Eppure, nonostante ogni possibile strategia di distacco, Carlo mi turbava.
Carlo era biondo. Aveva la barba rossa e la pelle di un bianchiccio presto avvampabile: era, è, un fenotipo tanto ovvio quanto banale. Ma un giorno, pensando fra sè e sè ad alta voce mentre ero presente anch’io, si chiese come sarebbe stato essere senza un piede, o una mano. Essere storpi, magari zoppi, e strascicarsi a stento conficcati su di un bastone. Poi tornò all’enunciato di partenza e ne cambiò la focalizzazione - non perdere l’uso, ma privarsene. Spararsi ad una mano, tagliarsi una fetta di polpaccio. Scucchiaiarsi un occhio. Io, che facilmente prendevo spunto dalle sue parole per poi tracciare in silenzio percorsi miei, pensai più all’uscire la mattina e accorgersi del dolore sul viso di una donna di mezza età che ti cammina incontro. Potrebbe avere una piaga che le sanguina o magari potrebbe essere stata lasciata dal proprio uomo… Qualcosa (ed era in questo che il mio pensiero procedeva da quello di Carlo) di non risanabile, irrimediabile. Inequivocabile alla vista e tuttavia celato alla precisazione: nitidi effetti di cause oscure.
Carlo ed io eravamo costantemente in arretrato col pagamento delle bollette. Lui si ostinava a tenere il televisore e le luci di tutto l’appartamento accese, il suo computer portatile a friggere nella stanza da letto, i caricabatterie dei cellulari inseriti placidi in ogni presa disponibile. Avesse deciso lui, la via per l’illuminazione spirituale sarebbe passata attraverso le vene cablate di una città aperta e rivoltata ogni altro minuto da ruspe sbavanti.
A scaricare cassette di frutta e verdura al mercato non tiravo su molto, ma c’erano i miei genitori che mandavano qualche soldo; anche dalla vendita del flauto traverso avevamo ricavato qualcosa. Mi sforzavo di risparmiare per tenere accesa la luce.
Ieri notte ho girato per l’appartamento al buio e ho chiuso l’acqua della doccia mentre mi stavo insaponando. Lo shampoo negli occhi, il boiler elettrico a ronzare.
Questa mattina le mie gambe erano pali conficcati nel busto, ogni fibra tesa e stupita a cogliere la pressione delle molle storte del materasso sui miei muscoli dorsali, oramai spezzati. I capelli unti di Carlo avevano preso pieghe fantasiose, e le sue unghie nere, quando gliele ho succhiate, hanno donato un altro sapore al mio buongiorno, rinforzato quindi dal caffè scaduto, la schiuma dolciastra rappresa sul bordo della tazza. Prima di andare al mercato ho scaldato una melanzana nel microonde e l’ho lasciata su di un piatto per lui.
Oggi pomeriggio Carlo mi fa: -Scusami, non è che non ti amo, ma così non funziona. Non stiamo bene assieme, non riusciamo a soddisfare neppure uno dei minimi bisogni reciproci. E poi non c’è mai nessun lampo, non c’è nemmeno tensione elettrica. Ci siamo sbagliati, tutto qua. Puoi andartene anche stasera.
-È per la melanzana?
Mi risponde chiedendomi qualche soldo per le stilo della sveglia e del rasoio elettrico.
Andandomene, nell’atrio dell’ingresso fracasso il contatore dell’elettricità del nostro appartamento con un pugno.
Alla fermata dell’autobus sotto casa osservo il sangue scuro gocciolarmi dalle nocche: si sta mescolando con la polvere a terra, formando un impiastro costellato di microscopiche bollicine. Una donna si mette al mio fianco: sta aspettando di sicuro il 10. Chi si accorgerà prima del dolore, io del suo o lei del mio? Nell’ignoto che sta sotto le nostre scarpe esiste un unico punto in cui tutti i dolori si raggrumano, per cessare di essere capriccio e vivere di solo pianto, senza articolazioni fonetiche, senza riverberi sonori. Un pianto silenzioso, la goccia che stilla dal soffitto muffito e cade sul cavo elettrico scoperto, quello del televisore, e lo fa esplodere.
Mi decido a chiederle: -Signora, le è successo qualcosa? Va tutto bene?
-Sì, ma… Qualcuno mi ha distrutto il contatore dell’elettricità, pensi un po’.
Ho scritto una lettera d’addio a Carlo. Non cercarmi nei giornali, o negli annunci in coda alle trasmissioni di servizio. Cercami all’uscita di un supermercato da due soldi, la fontana imbrattata dai piccioni, i venditori ambulanti che ridono fra di loro; cercami agli incroci, alle entrate delle librerie - come è piacevole il tepore prodotto dalla carta dei libri!, non ci siamo mai regalati un libro, noi due - mentre penso a quante nuvole ho evitato di guardare oggi. O nei sottopassaggi pedonali, sulle grate sospese sul vuoto davanti alle banche, nel retro di un auditorium alla distratta ricerca del tessuto musicale di questa nostra luce terrena. Soffrirò con grazia, sorridendo e fischiando, operando piccole cortesie per alleviare il mio e l’altrui dolore. E, Carlo, spero non ci rivedremo presto, almeno non prima che tu ti sia amputato un avambraccio, o tranciato una gamba.
Un attimo, prima di chiudere mancano i:
numeri
1 - 2 - 100 - 1