Erika Hall, designer e autrice di Just Enough Research, arrivata su Bluesky1 ha ripescato un suo vecchio tweet del 2020 che, all’epoca, aveva provocato un ampio dibattito tra gli addetti ai lavori.
Nell’immagine condivisa da Erika Hall c’è una minacciosa rana pescatrice, con accanto il testo “business model”. Accanto a quella specie di esca luminosa che gli penzola dalla testa (che ho scoperto chiamarsi illicio e che viene usata per catturare piccoli pesci) c’è scritto UX.
Mark Hurst, fondatore di Creative Good, all’epoca prese spunto da quel tweet per scrivere un articolo dal titolo Why I'm losing faith in UX. Nell’articolo lamenta come le grandi aziende tecnologiche abbiano trasformato la UX in uno strumento per sfruttare gli utenti e le persone.
Scott Berkun, l’autore di How Design Makes The World, scrisse poi un post di risposta a Hurst, dicendo che Hurst non sta osservando il quadro generale. Alcune aziende tecnologiche, infatti, offrono un’ottima UX e un ottimo design, ma sfruttano i clienti; altre, come Amazon, non sono altrettanto attente al design, eppure i clienti ne risultano comunque soddisfatti.
Ho ripensato a quel tweet di Erika Hall, e ai vari commenti usciti all’epoca, leggendo l’annuale report di UX Collective sullo stato dello UX Design.
Nel report si parla di come le AI, con strumenti inclusi in Figma, Canva, Vercel, stanno automatizzando parti significative del lavoro dei designer. E di come tutto questo cambierà la percezione del ruolo del designer2.
Si evidenzia poi un trend in crescita legato all’ottimizzazione dei flussi per massimizzare i clic e un altro legato al rilascio di prodotti non del tutto completi, in nome di approcci come il “fail fast” e il “lean UX”.
Scrivono:
Ottimizziamo i flussi per ottenere clic, non per fornire chiarezza. Abbiamo smesso di creare strumenti e iniziato a realizzare trappole di coinvolgimento.
Se in passato la UX trasmetteva un certo senso di cura verso gli utenti, nel 2024 seguiamo freddamente i numeri. In molte aziende, la ricerca della crescita sta soppiantando la ricerca di significato.
In risposta a tali tendenze, il report suggerisce di abbracciare il cambiamento.
Il cambiamento di cui stiamo parlando non è una rivoluzione, ma un’evoluzione. Semplicemente, varierà il numero di ruoli necessari e ciò che comportano. “Sistemi digitali, non persone, svolgeranno gran parte del lavoro di Interaction Design (a livello di schermo).”
Di riconsiderare il proprio percorso professionale, magari approfondendo leadership, strategia, creatività, psicologia degli utenti o accessibilità. Oppure Tornare alle basi, concentrandosi sulla gioia della creazione e sulla costruzione di qualcosa di tangibile e significativo. O anche esplorare nuove opportunità, valutando carriere alternative o coltivando passioni nascoste, poiché il design resta soprattutto un modo unico di osservare e reimmaginare il mondo.
Un social simile al Twitter, nato proprio all’interno del fu Twitter, come progetto di ricerca. (Anche io ho un account personale) ↩
(Ne avevamo parlato anche in un numero di Dispenser di quest’anno, riprendendo un interessante speculazione di Josè Arango) ↩