POV: hai visto le mie storie di stamattina e stai sorridendo perché ti aspettavi questa mail
Ciao!
Ho in canna questa mail da settimane ormai, ma non volevo mettermici perché intendevo prima fare un sacco di ricerche, leggermi tutta la theory queer del mondo e poi tornare qui inattaccabile come non mai. A dirla tutta, però, questa cosa che sto per scrivere non ha davvero a che fare con la teoria, con la queerness e/o con la gente queer che legge la teoria, è solo un rant che ambisce a diventare un piccolo spunto di riflessione e tangenzialmente tocca questioni relative agli spazi queer. Quindi, daje, facciamola breve.
Insomma, oggi vi parlo della più grande benedizione e al contempo la più grande maledizione di questi tempi moderni: i meme
Credits: Vabbè Raaga
Non ho tempo e competenze per raccontarvi tutta la storia di meme, shitposting e altre creature fantastiche (o dove trovarle), quindi questa sarà essenzialmente una newsletter per iniziatu. Anche perché mi interessa fare un discorso un po' più "avanzato", sa vogliamo, e non tanto sul meme come forma espressiva in sé ma sulle logiche comunicative che una certa parte di memer mi sembra seguire.
Scendo subito nel dettaglio.
Non so quanto siate addentratu nell'ecosistema memetico sinistroide e/o queer in lingua italiana e/o prodotto da persone italiane che però scrivono in inglese, ma senza fare nomi immagino che se mi avete seguita fino a questa newsletter vi siate imbattutu almeno una volta in qualche meme anticapitalista/ggiender della galassia radical dell'Instagram. Cose come quello qui sopra, per intenderci, ma anche grafiche psichedeliche che promuovono il reddito universale, citano ironicamente Slavoj Žižek o prendono per il culo le femministe influencer tra un cursed Pepe the Frog e l'altro. In questo sottobosco di shitposting, si muove anche un certo giro di memer queer particolarmente edgy o wannabe tale, che senza girarci intorno è diventato praticamente la mia memesi (see what I did there?).
Ripeto, non farò nomi perché non mi interessa avviare alcun dialogo con queste persone né voglio lanciare call out volanti sperando che qualcunu li intercetti - anzi, per carità. Seguite le pagine che vi interessa seguire: io posso solo parlare di comportamenti che non mi piacciono e se vi imbattete in questi contenuti e siete d'accordo con me saranno il vostro spirito critico, la vostra soglia di tolleranza e i vostri interessi a dirvi cosa fare, non certo io.
Quello che mi limiterò a spiegare è giusto come sono fatti questi meme a cui mi riferisco o più che altro a descriverne il tono. Ad onor del vero non sempre questi contenuti sono classificabili come meme, diciamo che sono sostanzialmente pagine di shitposting che ospitano anche riflessioni meno codificate sotto forma di invettive cattivelle, post random e oscuri sulla salute mentale, e faide, spesso unilaterali, con altri creator solitamente più popolari che magari lu hanno anche bloccatu (ma ai cui profili accedono lo stesso perché hanno altri mille account creati con lo scopo di lurkare e molestare). A fare da filo conduttore tra tutti questi contenuti è tendenzialmente una cosa: l'invalidazione altrui sotto trecento strati di theory e ironia.
If you know you know, if you don't know - good for you, good for you
La mia teoria è che questa sia una vecchia tattica utilizzata senza pietà negli stessi ambienti, tanto di destra quanto di sinistra, che queste persone - a ragione - osteggiano con veemenza, ma di cui appunto riproducono pedissequamente le dinamiche.
Provo a farla più semplice: tutti questi contenuti queer e di sinistra che si basano sulla denigrazione o, ancora peggio, la liquidazione scocciata di tutto ciò che non è genuinamente, "actually", queer/radical sono violenti concettualmente e fattualmente, anche perché si traducono quasi sempre in vera e propria molestia, sotto forma di controllo ossessivo dei profili, post mirati, shitstorm (limitate dal numero non troppo elevato di follower ma comunque tali nella loro essenza) etc.
Dalla mia parziale percezione, la maggior parte di questi contenuti sono reattivi, ovvero nascono per intervenire su contenuti altrui, e puntano a umiliare e "smerdare" le persone che li hanno prodotti, ficcandole forzatamente in categorie create da loro a scopo denigratorio. Categorie e categorizzazioni che dovrebbero essere il frutto di un'analisi approfondita dell'ecosistema queer, supportata dalla lettura - più o meno superficiale non ci è dato sapere - di tanta theory, applicata però non al lavoro di riflessione sistemica e liberazione collettiva, bensì al nobilissimo scopo di dire "gotcha, sei ridicolu e cringe, mica come me che ho la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto" sotto mille layer di sarcasmo tranchant.
Parlo di categorizzazioni perché un sacco del lavoro di questu memer è isolare delle caratteristiche da associare a delle vere e proprie "marketing personas" su cui basare i soggetti dei vari post. Sottogruppi, questi ultimi, di esemplari queer da prendere per il culo dimostrando che i loro interessi, o i circoli che hanno frequentato una volta 10 anni fa, o l'uso di una specifica parola in qualsiasi contesto, a prescindere da qualunque premessa o conclusione, li definiscono in maniera inequivocabile e li differenziano nettamente da loro.
Una pratica curiosa per chi dice di non approvare l'approccio tassonomico all'identità di genere e sessuale, ma poi vede in maniera monolitica e limitata tutto lo spettro della queerness che non capisce e a cui si rifiuta di dare dignità, perché con la sua stessa esistenza mette in crisi le proprie convinzioni. Una pratica, insomma, che a me ricorda qualcosa, ma lascerò a voi il piacere di capire cosa.
Ok, approfondisco un attimo perché è importante. Tanta della retorica che io sento arrivare da queste pagine mi ricorda nettamente le prese di posizione, basate anch'esse sulla theory (anche se diversa- c'è sempre della theory da travisare e strumentalizzare) e una visione prescrittiva, mai fluida e autodeterminata, del femminismo e della queerness, di una parte dei movimenti sociali di liberazione che escludono certe specifiche soggettività... semplicemente spostata di qualche lettera/identità più in là, in modo da includere nuove persone rispetto al passato ma - Dio ce ne scampi - non tuttu.
La logica che rende questa cosa accettabile è che il meccanismo non è evidente a prima vista e che spesso, quando si parla di rispettare le identità altrui, non si va mai al cuore effettivo del problema - ovvero all'autodeterminazione, la depatologizzazione, la messa in discussione dei dogmi a tutti i livelli - ma si cerca una qualche "verità", o "regola" che sia più progressista di quella precedente senza però rifiutare, per l'appunto, l'idea stessa che questa regola o questa verità esistano. Tutto ciò che in qualche modo resta fuori da tale classificazione ineluttabile della realtà viene automaticamente squalificato e ridicolizzato e, a quanto pare, è giusto così.
A supporto di tutto questo, poi, c'è la strumentalizzazione del concetto di oppressione e privilegio, impugnato per creare gerarchie invece che per garantire spazio, sicurezza e rispetto a chi si trova al margine, spesso rinforzando lo stesso ordine sociale che ha permesso quella marginalizzazione (per intenderci con un esempio: la bicancellazione negli spazi queer solidifica una visione eteronormativa della società). La giustificazione che sento più spesso per questo tipo di contenuti è infatti che le persone che li producono sono "più oppresse" dei loro bersagli e che, nel parlare di oppressione a loro volta, questi ultimi discriminino e minaccino le parti più vulnerabili della comunità queer in maniera simile ai tanto vituperati uomini bianchi etero cis che parlano dei loro problemi di genere o occupano spazi femministi.
Ora, a differenza di tante persone asessuali e bi+ come me, io non sento il bisogno di ribadire che il passing o la cancellazione non siano un privilegio. Sono d'accordo sul fatto che sia un vantaggio a metà, spesso soltanto temporaneo e in grado di distruggerti dall'interno, farti sentire fuori posto in ogni contesto e anche negli spazi più safe, e un concetto poco utile in ottica di liberazione collettiva e duratura dall'eteronorma; tuttavia mi rendo conto che, seppur tecnicamente non meno queer, la mia esperienza è senza dubbio "diversamente queer" e più palatabile rispetto a quella di una persona non binary e lesbica, per dirne una, e che certi aspetti della sua marginalizzazione io non potrò mai subirli né capirli. Mi rendo anche conto che l'identità come posizionamento sociale e "dato di fatto" nella quotidianità è solo parzialmente la percezione che tu hai di te e per la maggior parte la categoria in cui il resto del mondo ti ha inserito tuo malgrado.
Ciononostante, trovo completamente pretestuoso attaccare le persone le cui "lettere" non rientrano nella visione standard e acquisita della queerness ogni qual volta cerchino di descrivere e dare un nome alla propria esperienza o le forme in cui subiscono oppressione, come se questo semplice atto costituisse una minaccia a tutto il mondo queer - un'oppressione soltanto superficialmente inquadrata come fuoco amico, per altro, dato che l'appartenenza alla comunità LGBTQIAKP+ di queste persone è più o meno apertamente messa in dubbio ogni santo giorno.
I meme che ironicamente e velenosamente accusano chiunque osi usare lo split attraction model o una microlabel qualsiasi per descriversi di essere ingenu* o illusu o schiavu di una visione capitalista, tassonomica e rigida dell'identità queer che ne minerebbe la sicurezza mi sembrano avere la stessa radice logica dei discorsi invalidanti e paternalisti di un compagno che sbaglia o una second waver misgenderante qualunque . Anche le uscite di queste persone sono spesso supportate da analisi e interpretazioni delle grandi autorità della theory, sono solo i riferimenti a essere diversi.
E, attenzione, io accolgo con piacere qualunque riflessione sistemica sull'ossessione così contemporanea a catalogarci, spesso perfino ad auto-patologizzarci e immaginare l'identità sessuale e di genere come una diagnosi, applicando alla scoperta di sé le stesse logiche che applicheremmo alla propria anamnesi. Trovo sia un discorso estremamente interessante, oserei dire anche necessario. Ma non è questo quello che avviene ogni volta che prendi per il culo una persona che fa coming out come aegosessuale, che insinui che parlare di poliamore sia una qualche posa o una moda, che usi Monique Wittig per ridurre ogni donna bisessuale allo stereotipo di una schiava della compulsory heterosexuality.
Il processo di macchiettizzazione del diverso e dell'inconcepibile è disumanizzante e, beh, stupido da qualunque parte arrivi. E no, non penso che queste pagine di meme mi opprimano quanto un maschio etero cis nel merdaviglioso mondo offline, ma non vedo perché dovrei fare finta che 1) non mi facciano stare (anche molto) male 2) non siano dannose per la causa sul lungo termine o 3) non contribuiscano a una cultura digitale - e non solo -malata, che scoraggia il confronto costruttivo e isola le persone più vulnerabili.
Mi costa ammetterlo perché io sono la prima a ricorrere alle categorizzazioni per dare senso alla realtà - anche se ho imparato a farlo con cautela; però, amicu, questo processo, e noi quando lo portiamo avanti, siamo molto più cliché di qualunque cliché ci convinciamo di scoprire analizzando ossessivamente le abitudini, gli interessi e il linguaggio della gente. Non è così acuto e intelligente e edgy come pensiamo, non è più rivelatore di un po' di sana vulnerabilità e empatia.
Memare la realtà può essere uno strumento di analisi potentissimo e un divertente passatempo, ma solo se usato con moderazione e ferma consapevolezza delle sue possibili degenerazioni aggressive e abusanti. Altrimenti è la via più diretta per l'ottusità e l'entitlement, l'ingresso perfetto per la pipeline "opinioni impopolari di sinistra to Guia Soncini".
E nessunu dovrebbe seguire l'esempio di Guia Soncini a questo mondo, spero siate d'accordo con me.
Un abbraccio morandiano, in onore dell'OG memer wholesome di cui questo Paese aveva bisogno ma che non si meritava.
Fra